Questa mattina grazie all'Ordine degli avvocati, Festival dei Diritti Umani, Cospe, Amnesty e Aoi (con il patrocinio del Comune di Milano) si è svolto il convegno "Non solo Regeni. Le violazioni dei diritti umani in Egitto".

Ho rappresentato con orgoglio il Comune e il principio che non esiste "ragion di stato" o di opportunità per fare un passo indietro sulla richiesta di verità e giustizia.

Qui di seguito il testo del mio discorso, alcune immagini dell'iniziativa e della solidarietà dell'Amministrazione comunale:

"È per me un onore oggi rappresentare il Comune di Milano e il suo patrocinio a questa iniziativa intesa a porre all’attenzione pubblica, e denunciare, la grave situazione dei diritti civili e delle libertà personali in un paese a noi vicino come l’Egitto; Paese che solo pochi anni fa ha incarnato, con le proteste di piazza Tahir, la speranza di un rinnovamento che sembrava poter investire l’intera area nordafricana, e che oggi vive una grave involuzione delle libertà personali, associative e di espressione.

Non esistono giustificazioni per un tale arretramento sul piano della tutela e dell’affermazione dei diritti umani, che rappresenta quello che noi riteniamo essere il fondamento di una società che si dica civile.

Le alleanze e le convenienze diplomatiche non devono portare al silenzio di fronte alle brutalità e al dispotismo,  la nostra adesione non può essere incondizionata, e il nostro Paese non può essere “un fedele amico” dell’Egitto, senza meno, come ha recentemente dichiarato il neo-eletto presidente americano, se non verrà fatta piena luce sui crimini che hanno coinvolto anche nostri concittadini, e se non verranno ripristinati quei meccanismi di controllo democratico nei quali crediamo e che sono un diritto di ogni popolo.

Nulla può giustificare il prezzo del soffocamento della società civile di un paese, nemmeno la lotta a una minaccia terribile come quella del terrorismo jihadista, sfida che coinvolge e unisce tutti i Paesi (europei e non), che hanno a cuore la salvaguardia di una convivenza democratica e plurale. Al contrario, in questa sfida occorre saper democraticamente sostenere e raccogliere le energie e il desiderio di benessere e libertà che sempre sono presenti in un popolo, e che in Egitto hanno avuto una clamorosa manifestazione con le proteste del 2011, e farne il migliore alleato.

Nella storia di ogni nazione ci sono momenti difficili, in ogni stato si possono innervare apparati volti a soggiogare, controllare, minare la libertà dei cittadini. È accaduto anche da noi in un recente passato.

La repressione e la brutalità nei confronti del dissenso, delle minoranze, degli oppositori, hanno come obiettivo di produrre paura e scoraggiamento. Si colpisce il singolo con il proposito di ingenerare quel terrore diffuso che annulla la partecipazione spontanea e autentica di un popolo alla vita politica del suo paese. È quanto di più lontano si possa concepire dalle regole politiche in cui crediamo, ossia quelle democratiche fondate sulla tutela del diritto dei singoli alla critica e all’opposizione. Le relazioni diplomatiche e lo scambio fattivo tra il nostro paese e gli altri stati devono avere come presupposto il riconoscimento reciproco di questi valori basilari della vita civile. Tantopiù è necessario che questo accada in un Paese come l’Egitto con il quale si condividono decisive responsabilità per gli equilibri dell’area del Mediterraneo, tanto esposta ai pericoli dell’estremismo islamista.

Le violazioni alla libertà di espressione, alla libertà accademica, alla libertà associativa sono da censurare, qualunque sia l’obiettivo delle restrizioni, perché le idee si devono combattere sul piano delle idee, all’interno di un sistema di regole che sancisca come inviolabile anzitutto l’incolumità personale di chi quelle idee esprime nell’ambito di un sistema di leggi condivise.

Le persone che oggi verranno ricordate erano attivisti, giornalisti, operai, pochi casi ma emblematici di un contesto sociale che solo nell’ultimo anno ha registrato centinaia di episodi di violenza, sparizione, tortura, come denunciano le principali organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani.

L’occasione di questo confronto è il primo anniversario della morte di Giulio Regeni.

Voglio soffermarmi sul ricordo di Giulio e sulla battaglia che tanti, anche a livello istituzionale, stanno combattendo a suo nome.

Cosa può accendere il nostro desiderio di giustizia e di verità più di una violenza quale quella subita da questo ragazzo, torturato e ucciso con una brutalità quasi inimmaginabile, un giovane dei migliori che una generazione possa esprimere, un ricercatore, uno studioso che amava il Medio Oriente, l’Egitto e la sua gente, che studiava l’arabo per essere più competente e vicino alla società di cui intendeva occuparsi? Violenza dell’omicidio e violenza del depistaggio, della calunnia, dell’oscurità che una potente macchina di forze e organismi hanno creato per occultare le ragioni di quell’assassinio e infangare la figura di Giulio.

Da un lato abbiamo questo ragazzo, una bella persona, un giovane che amava il mondo e pensava che si possa renderlo migliore, dall’altro abbiamo l’oscurità e la spietatezza di apparati e di uomini che sono esattamente l’opposto. Il compito di vincere questa oscurità e fare luce su quanto accaduto, riguarda non solo lo Stato italiano, nel nome della salvaguardia della sua dignità e di quella dei cittadini di cui è responsabile, ma riguarda tutti noi come uomini che devono contrapporsi all’arbitrio e alla disumanità, in nome di una società e di una civiltà in cui Giulio ha creduto nella sua breve vita, come può crederci un giovane.

Giulio si occupava proprio del nodo centrale che ha mosso e muove l’opposizione e lo scontento in Egitto, la questione economica, il ruolo e le possibilità di azione dei sindacati, le questioni dei diritti dei lavoratori, dei salari.

Se pensiamo al suo sorriso, se proviamo a immaginarci la fiducia con cui, almeno all’inizio, si è avvicinato alle persone che poi lo hanno tradito, se ce lo immaginiamo curioso e interessato a far domande tra gli ambulanti del quartiere di Tahir, e se poi leggiamo il referto dell’autopsia con la descrizione dell’orrenda serie di violenze che ha subito, veniamo senza meno investiti dal senso di un’ingiustizia e di un crimine di fronte al quale nulla può farci recedere dal chiedere verità, identificazione e punizione dei colpevoli. Non possono esserci ragioni di stato o diplomatiche a farci desistere.

Credo che lo Stato italiano debba andare fino in fondo per fare una luce completa su questa terribile vicenda. In questo caso più che mai, per riprendere il paradigma di Sofocle e di Antigone, non esiste “legge degli uomini” che possa far tacere tutti coloro che in nome di Giulio stanno tenendo alto il valore della “legge degli dei”, ossia di quei valori che sono più importanti di ogni commercio e opportunità umani. È una sfida enorme, considerate le forze in gioco, nata a partire dalla determinazione dei familiari di Giulio e via via allargatasi a tanta parte della nostra società e dei nostri vertici istituzionali.

Ricordare oggi gli uomini che, come lui, si sono sacrificati in nome dell’evoluzione sociale e di una visione collettiva di bene, significa promuovere un’energia positiva e contraria a quella del terrore provocato dalle torture e dagli omicidi. 

Recedere da questa battaglia equivarrebbe ad acconsentire all'estinzione della società civile in Egitto, ad ammettere che le ragioni di stato possano valere il sacrificio delle ragioni degli uomini e dei loro fondamentali diritti".

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