La sfida al confronto lanciata da Gabriele Nissim, sul ruolo e sull’identità di Gariwo, è molto importante in quanto muove dalla consapevolezza che il momento storico che stiamo attraversando, così delicato e anche denso di preoccupazioni, vive una crisi che non è congiunturale ma nasce da una trasformazione profonda, da un cambiamento epocale in cui il vecchio mondo che conoscevamo sta per essere sostituito da uno nuovo.
Questo cambiamento chiede nuove chiavi di lettura per essere compreso e per anticipare, e scongiurare, rischi e violenze che potrebbero di conseguenza minacciare il bene degli uomini, pericoli già presenti in nuce in tanti eventi ed emergenze che osserviamo attorno a noi.
Queste chiavi di lettura dovranno essere necessariamente alimentate dalla memoria delle tragedie del passato e degli esempi luminosi di chi si è opposto con coraggio alla disumanità, una memoria che deve però rinnovarsi attraverso l’intelligenza e la sensibilità di noi uomini del presente, che siamo comunque responsabili di quanto avviene nelle nostre comunità.
Un movimento culturale prezioso come quello che si raggruppa attorno ai Giardini dei Giusti, che tanti riconoscimenti e apprezzamenti sta ottenendo con la sua azione, non deve fermarsi ai successi ottenuti ma, osservando il presente, porsi di continuo il problema della propria identità e della propria mission, ridefinendo di fronte agli orrori a noi contemporanei le lezioni apprese da quelli passati. Questa fase di profonda trasformazione ci dice che non dobbiamo “sederci” su quanto abbiamo raggiunto e compreso, sulle categorie che abbiamo costruito per leggere le dinamiche storiche che hanno prodotto ingiustizia e sofferenza nel passato, ma tenerle vive affinché possano interpretare e affrontare al meglio la sfida che questi inedite trasformazioni ci pongono.
Io sono molto fiducioso nel fatto che questo movimento saprà sostenere questa sfida. È infatti nato prima che la crisi odierna si manifestasse con tanta gravità: ha saputo anticiparla, cogliendone i nodi, mettendone a fuoco le questioni più urgenti e inquietanti.
Alla domanda su quale sia il suo compito oggi, rispondo che dovrebbe essere quello di richiamare ogni cittadino, e in particolare i giovani, alla consapevolezza di essere parte della storia; quello di alimentare la loro ambizione a giocarvi coscientemente un ruolo, perché la storia si compone delle azioni di tutti, a livello individuale o collettivo.
Quale azione possiamo promuovere se non quella di diffondere gli “anticorpi etici” che la memoria delle vicine tragedie del Novecento ci ha consegnato? Del futuro non si dà scienza, e forse nemmeno del passato, ma possiamo rispettare il primo facendo di tutto per non portarvi quanto di peggio l’uomo ha saputo essere e produrre nel secondo. Il nostro “dna di cittadini” si compone anzitutto di sensibilità nei confronti dell’altro e di coscienza storica. Sono questi i fattori che dobbiamo sostenere e promuovere nella nostra comunità, a partire da quelle che sono le nostre intenzioni e ragioni di impegno.
Gli individui possono non essere inerti e impotenti di fronte a quello che avviene nel mondo. Possono essere protagonisti della storia assumendosi responsabilità e rifiutando l’indifferenza, scegliendo e prendendo posizione. I Giusti sono state persone che hanno fatto questo, donne e uomini che, come Gabriele Nissim ricorda spesso, avevano i loro vizi, difetti e limiti ma che, di fronte a quanto stava accadendo attorno a loro, hanno pensato di rispondere alla storia, rinunciando a essere spettatori passivi e rassegnati.
Il grande lavoro che dovremo fare, credo, non sarà conciliatorio o rassicurante ma, al contrario, di sfida, provocazione e interrogazione: generatore di inquietudine sulle responsabilità che ciascuno di noi ha di fronte a al mondo e alla storia.
L'ulteriore considerazione che mi sento di fare è questa. La complessità della crisi che stiamo affrontando ci mostra come i tanti problemi, come la questione ambientale, la questione sociale, l’immigrazione, le disuguaglianze, i conflitti nel mondo, siano tutte questioni che non devono essere affrontate in modo separato. Non è possibile essere pacifisti senza occuparsi di ambiente, essere ambientalisti senza occuparsi di problemi sociali, e così via. Sarebbe miope e inefficace. Il nostro assetto globale, il nostro possibile benessere di uomini, si fonda su un possibile equilibrio di tutti questi fattori. Quando, come sta accadendo oggi, questo equilibrio non esiste, si generano di conseguenza le guerre locali, la crisi ambientale, immigrazione e disuguaglianze esplodono, in quanto sono tutti fattori incrociati tra loro. Ho presente un’interessantissima rappresentazione della mappa dell’Africa, la quale mostra come la zona a rischio di desertificazione, sotto il Sahara, sia quella dove esistono più conflitti. La guerra è la causa principale del fenomeno migratorio. Da essa si sviluppa il traffico di armi e da questo altri conflitti, disperazione, fuga di intere popolazioni verso salvezza e libertà.
Un movimento come il nostro, dunque, deve essere anche capace di creare alleanze, superando il rischio della separazione, di una divisione tra chi si occupa delle vittime di guerra, chi dell'ambiente, del razzismo, delle disuguaglianze. La nostra deve essere una battaglia culturale volta all’inclusione, alla costruzione di alleanze, superando quindi anche le chiusure narcisistiche o di appartenenza che spesso indeboliscono anche chi si spende per le cause più nobili.
Con la sua grande efficacia comunicativa le rete dei Giardini dei Giusti ha saputo mostrare che la storia non è fatta solo da grandi movimenti collettivi, ma anche da tanti gesti compiuti da singoli mossi da sentimenti di fraternità e altruismo, da spirito di giustizia. Anche i grandi movimenti collettivi, poi, che hanno promosso il bene arginando e sconfiggendo dittature e repressioni, sono composti da una pluralità di individui che, uno per uno, hanno seguito quanto la coscienza diceva loro di fare, a costo della loro stessa vita.
In una società atomizzata come quella odierna, in cui le energie dei singoli tendono a disperdersi e a essere vinte dalla disillusione e dal fatalismo, occorre promuovere la fiducia nella possibilità di ognuno di agire e reagire, di cambiare, di intervenire su quanto avviene al di fuori del suo piccolo mondo privato.
Tutte le volte che incontro degli studenti li provoco, magari in modo un po' retorico, chiedendo loro di porsi la domanda su quale sia il loro posto nella storia, e non solo nella cronaca. La storia è quanto, ad esempio, sta accadendo nei nostri mari. È quello che sta avvenendo a livello globale, che poi si ripercuote, alla fine, anche all’interno di ogni singola comunità. È già storia, non è cronaca. La nostra esperienza ci chiede di leggerla a questo livello.
Quanto avveniva nel mondo, con il conflitto mondiale, e in Germania, con lo sterminio, era anche vicinissimo a noi, come ci dicono le pietre d'inciampo. In quell'edificio concreto, proprio li davanti dove stiamo passando, in quella casa, qualcuno un giorno è stato portato via e non è più ritornato. Le pietre di inciampo, interrompendo il nostro cammino spesso distratto e disinteressato a quanto accade attorno a noi, hanno una grande concretezza nel sollecitare quegli elementi che indicavo sopra, sensibilità personale e coscienza storica. Ci dicono che quella era l’abitazione non solo di una persona che è stata deportata, ma anche di altre persone che, come forse avrebbero potuto, non hanno fatto nulla per impedirlo. La nostra sfida sarà quella di generare, in particolare nei giovani, empatia, solidarietà, senso di responsabilità, apertura all’altro, al diverso, al nuovo.
Gli animali vivono circoscritti all’interno di nicchie ecologiche, questo li preserva dall’irreversibilità delle loro azioni. La nostra “nicchia” è l’intero pianeta e le nostre azioni, al pari della nostra inerzia, rischiano di essere irreversibili e, spesso, fatali, come ci dice la storia recente nell’ipotesi che vincessero i populismi, o come ci indica la questione ambientale, che avrà prospettive ancora più tragiche se non verrà affrontata con determinazione nella sua gravità. Mai come oggi l’estremamente vicino e l’estremamente lontano, in termini etici, politici, ecologici, e così via, sembrano toccarsi.